Vuoi diminuire il numero dei parlamentari? RINUNCIA A VOTARE

Sarebbe molto più democratico se, chi vuole diminuire i parlamentari rinunciasse ad essere rappresentato. Chi vuole meno rappresentatività dovrebbe essere il primo a rinunciarvi.


Diminuire il numero di membri del Parlamento significa allontanare ulteriormente i cittadini dal potere e dalla politica.

Personalmente adeguerei il numero dei parlamentari eletti in proporzione al numero dei partecipanti al voto, in maniera tale da rappresentare con maggior precisione anche l’astensione. Anzi, forse, la miglior rappresentazione sarebbe quella di lasciare un numero di seggi parlamentari vuoto proporzionalmente agli astenuti in maniera che se l’affluenza alle urne non raggiunga il 50% questo sia immediatamente percepibile anche visivamente.Se poi aggiungessimo un regolamento

Una partecipazione al voto inferiore al 50% può dichiararsi rappresentativa? Dubito…

Sarebbe molto più democratico se, chi vuole diminuire i parlamentari rinunciasse ad essere rappresentato e, adottando una legge elettorale che tenga conto delle astensioni, potrebbe farlo NON andano a votare e togliendo così posti in parlamento e comportandosi con
coerenza ed essendo il primo a rinunciare ad essere rappresentato.

MATEMATICAMENTE PARLANDO, Il Governo attuale, M5S e PD, in continuità con quello precedente, M5S e Lega, vuole modificare la Costituzione per “tagliare” 365 parlamentari, passando cioè da 630 a 400 alla Camera, da 320 a 200 al Senato.

Il rapporto tra elettori ed eletti, in questo momento, è di 96.006 elettori per ogni deputato; con la riforma il rapporto – e, con esso, la distanza tra elettori ed eletti – aumenterebbe a 151.210 elettori per ciascun deputato, mentre per i senatori si passerebbe da 188.424 elettori a 302.420.

Questa diminuzione di rappresentatività, unita agli sbarramenti delle leggi elettorali in vigore, si tradurrebbe in soglie di sbarramento reale tra il 10% ed il 20%, rendendo, nella sostanza, inaccessibile il Parlamento a qualsiasi partito privo di forti appoggi mediatici e finanziari.

Nel 1946, prima che la Costituzione fosse promulgata, nei lavori della Sottocommissione della Commissione per la Costituzione del 18 settembre, furono espresse le seguenti valutazioni, volte a definire la proporzione tra numero di elettori e numero di deputati e senatori: ”La diminuzione del numero dei componenti la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuol diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incominciano col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un Deputato per ogni 150mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.”  

I fautori del taglio dei parlamentari sostengono la validità di questa limitazione della democrazia, utilizzando come termine di paragone la proporzione elettori/eletti dei Paesi meno evoluti in termini democratici. Inoltre prospettano un risparmio che si attesterà intorno ai 60 milioni di euro, una somma praticamente irrilevante all’interno del bilancio dello Stato.

A fronte di tale risibile risparmio, si avrà come conseguenza un costo sociale esorbitante, dovuto alla svendita degli assetti strategici dello Stato, che proseguiranno ancora più spediti grazie a un Governo, un Parlamento e un Senato sempre più slegati dai bisogno e dalle istanze della popolazione.

Vuoi diminuire il numero dei parlamentari? RINUNCIA A VOTAREultima modifica: 2019-05-10T10:58:50+02:00da fab_kl
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Comments
  • Anonimo scrive:

    Gli schiavi dietro a ciò che mangiamo
    Il settore agricolo, forestale e della pesca, secondo il rapporto dell’International Labour Organization Profits and Poverty: The Economics of Forced Labour del 2014, impiega globalmente circa 1,3 miliardi di lavoratori, ovvero la metà della forza lavoro del mondo. In questo numero di lavoratori è stato stimato che 3,5 milioni di persone lavorano in condizioni di schiavitù: in molti Paesi, infatti, il lavoro agricolo è principalmente non regolato e la protezione legale dei lavoratori è molto debole o del tutto assente. Spesso dietro al cibo che arriva nei nostri piatti ci sono lavoratori stagionali che operano in condizioni fuori da ogni regola, da ogni dignità umana.

    Non solo aree disagiate e Paesi poveri
    In Italia esplose pochi anni fa il caso di Rosarno, in Calabria: migranti impiegati nella raccolta degli agrumi vivevano in acre condizioni di sfruttamento, costretti ad abitare in contesti degradanti, senza alcuna tutele igienica. Amnesty International Italia ha stilato una ricerca, Lavoro sfruttato due anni dopo, facendo il punto sulla situazione dei lavoratori migranti impiegati come braccianti e rivelando paghe al di sotto del salario minimo contrattato fra imprese e sindacati, pagamenti ritardati o mancati pagamenti e lunghi orari di lavoro.

    Questo fenomeno riguarda non solo aree disagiate e Paesi poveri: serva solo da esempio ciò che accade nello stato del Michigan, il più grande produttore di mirtilli degli Stati Uniti. Bambini perlopiù immigrati dal Messico vengono sfruttati nei campi per raccogliere i frutti perché hanno mani piccole, più adatte a raccogliere il delicato frutto.

    Sempre in Usa ha fatto scalpore il documentario Food Chains, presentato il 20 novembre in Usa, diretto da Sanjay Rawal e narrato da Forest Whitaker. Illustra la situazione dei braccianti agricoli in Florida. I coglitori di pomodori vivono una condizione di moderna schiavitù: devono lavorare su turni di dieci ore per una paga che si aggira intorno ai 40 dollari. I ritmi veloci dei movimenti del film non sono un effetto speciale, bensì il vero modo di lavorare di queste persone che raccolgono 480 chilogrammi di pomodori al giorno e vivono “come animali in baracche anguste”, come dice uno dei lavoratori nel film.
    Expo Milano 2015 raccoglie l’invito Onu a puntare l’attenzione sulle diverse forme di sfruttamento delle persone in agricoltura, sulla scarsa remunerazione e sulle situazioni spesso al confine con il lavoro forzato in cui sono costretti a lavorare milioni di esseri umani, per contribuire a far arrivare in tavola il nostro cibo.