Pochi giorni fa mi sono imbattuto nella pubblicità di un’agenzia di viaggi su Facebook. Lo spot riportava queste parole:

Se per te il viaggio non è una semplice destinazione, ma la scoperta di usi e costumi del luogo. Se per te il viaggio è l’emozione di vivere una nuova cultura, i sorrisi del suo popolo e paesaggi mozzafiato, sogni un viaggio con Fabtravel.it

Il testo dell’articolo, unito alle immagini accattivanti, mi ha quasi subito incuriosito. Ne è nata la disgraziata riflessione riportata di seguito.

 

Il viaggio di un tempo: l’importanza dello spostamento

Innanzitutto è interessante notare come le prime parole dello spot siano intenzionate a scindere l’idea del viaggio dalla destinazione del viaggio stesso.

Ciò è dovuto al fatto che lo spot mira a vendere un concetto romantico di viaggio. Un’idea che è un po’ come la ricerca dell’età dell’oro, ovvero un tentativo inevitabilmente destinato al fallimento. C’è infatti una discrepanza insuperabile tra l’idea romantica del viaggio, quella ottocentesca per intendersi, e i mezzi meccanici a disposizione dei nostri spostamenti nel 2020. In pratica il concetto romantico di viaggio è ciò che tutti cercano, ma esso rimane semplicemente un feticcio a causa dei mezzi meccanici a nostra disposizione. Perché?

È presto detto. L’idea romantica del viaggio nasce e si sviluppa in un mondo ancora molto vasto, in confronto al quale quello di oggi sembra una pallina da pingpong. La vastità di quel mondo era data dai mezzi di spostamento ancora piuttosto scarsi che gli individui avevano a disposizione. Ovvero le gambe, il cavallo o la vela. Tali mezzi facevano sì che lo spostamento da un punto ad un altro nello spazio fosse identificabile in modo indissolubile con un concetto di tempo. Il tragitto poteva impiegare “poco” o “molto”: giorni, settimane, o mesi.

Il viaggio era dunque non solo il raggiungimento della meta, ma anche il tragitto stesso, con le difficoltà legate allo spostamento. Basti pensare, ad esempio, che per la borghesia europea ottocentesca era di moda recarsi a Napoli, che all’epoca veniva considerata una destinazione esotica al pari del Nord Africa. Dunque lo spostamento era il viaggio, più o meno avventuroso a seconda della meta da raggiungere. E l’arrivo a destinazione poteva essere considerato come l’epilogo dell’esperienza, nonché come il raggiungimento di un obiettivo di crescita e arricchimento culturale.

Oggi il concetto di spostamento legato ad una definizione di spazio e tempo è trasformato al punto da essere irriconoscibile. Il concetto di tempo è slegato da quello di spazio, perchè la misura dello spostamento a velocità di crociera è di 920 km/h (in arereo) . Il tempo di raggiungimento della meta è immediato, la distanza non è più un limite, né tantomeno un’avventura.

Ecco dunque che si vede esplicitato il senso delle parole dello spot, parafrasando: “noi non vendiamo una destinazione, ma un pacchetto che pur comprendendo uno spostamento immediato ti permetterà di essere viaggiatore”. E conseguentemente di fare quelle esperienze mistiche che tanto agogni, al limite con le visioni di un invasato.

 

Il viaggio oggi: le esperienze oltre la destinazione

Ma perché è così fondamentale che il viaggio sia un’esperienza tanto particolare? I motivi sono molti, tutti collegati.

In primis, il viaggio è a tutti gli effetti un degli strumento di consumo che fonda quella che potrebbe essere definita una sorta di “etica del consumare stesso”. Che cosa significa?

Molti degli economisti che si sono interrogati sul consumismo nella fase del post fordismo, ovvero nel periodo conseguente al superamento del modello industriale centrato sulla fabbrica, definiscono il consumo come una sorta di competizione che si deve basare su valori condivisi.

In pratica, non esistendo più un’etica sociale di classe – o “solida” per dirla con Zygmunt Bauman – ogni individuo è lasciato libero di costruirsi la propria. Questa libertà negativa in realtà si trasforma in una costruzione dell’identità personale e dell’etica personale, proprio tramite il consumo.

Quest’ultimo riguarda dunque il piano individuale, ma non in modo assoluto, bensì relativo. Un valore deve essere necessariamente riconosciuto dagli altri, altrimenti la costruzione del sé è sterile.

Il viaggio è tra gli strumenti principe di questa pratica, tant’è vero che sembra impossibile oggi viaggiare senza documentare sui social ogni più piccolo particolare. In altre parole, il mio percorso di crescita mistica e spirituale deve separarmi da chi non ha intrapreso la stessa esperienza elitaria, il quale tuttavia deve condividerne il riconoscimento.

Si potrebbe identificare il tutto con un malcelato desiderio di provocare l’invidia altrui, il che sarebbe corretto ma riduttivo.

Il metro del successo nell’operazione di costruire l’identità del viaggiatore è la genuinità del viaggio stesso, ovvero quanto esso si avvicina all’idea romantica di cui si è detto sopra.

Ciò corrisponde all’esigenza di ricerca del vero, in maniera competitiva. Se tutti raggiungessero il “vero viaggio”, questo non sarebbe più un elemento di costruzione di identità. Costruire la propria identità significa differenziarsi dal prossimo e nella società consumista ciò avviene tramite le possibilità di consumo.

 

Viaggiatore vs Turista

L’equazione dunque diventa differenziare il viaggiatore puro, che tiene su Instagram quello che poteva essere il diario di viaggio di un esploratore, dal turista. Non esiste incubo peggiore di essere un turista!

L’idea è quella delle comitive che viaggiano in pullman in ciabatte e canottiera, trascinati come manzi nei templi della globalizzazione e completamente inadatti al percorso di crescita mistica interiore del viaggiatore.

Il turista mangia da McDonald’s. Il viaggiatore piuttosto andrà nella bettola più lurida della città, che non deve essere menzionata nemmeno per sbaglio su una guida turistica, altrimenti l’esperienza non è più autentica, ma pericolosamente replicabile dai “turistacci maledetti”.

E se poi ci scappa l’infezione alimentare tanto meglio, materiale in più da pubblicare online, o per raccontare storielle agli amici con la voce seria e vibrante, quasi commossa, di chi celebra un rito collettivo. L’epifania del viaggiatore, meraviglia del consumismo!

Alcuni studiosi come Jonathan Culler descrivono la guerra personale del viaggiatore contro i turisti in maniera quasi comica.

Chi viaggia a piedi considera turista chi viaggia in macchina, quest’ultimo disprezza chi vola in areo, il quale a sua volta odia i pullman pieni di gente col cappellino americano e l’audioguida a penzoloni dal collo. La presenza dell’altro (del turista), rovina l’esperienza del viaggiatore, perchè trasforma la conquista elitaria in intrattenimento dozzinale.

Ma è tutta illusione. In un mondo completamente globalizzato, in cui non c’è più nulla da scoprire, tutti sono turisti.

Il senso ultimo dello spot dunque è una professione di fede. Lo strumento tramite cui posso a buon prezzo battezzarmi viaggiatore. Perché no, il viaggio non è la destinazione, ma tutte le fantastiche cose che potrai vivere, a patto di credere nella mistica del viaggio e nella ricerca dell’autenticità. La mia identità di viaggiatore puro è tale solo quando riconosciuta dalla collettività.

Ricerca che comporta da una parte il disprezzo per il turista, dall’altra la costante documentazione sui social, perché la fede nel viaggio è una professione collettiva.

In sintesi, la chiave è osannare il feticcio del viaggio, postare tutto su Instagram e assolutamente non mangiare da Mcdonald’s.

l’evoluzione del concetto di viaggio: Dal romanticismo al consumismoultima modifica: 2020-04-15T12:35:22+02:00da fab_kl