Il lavoro va contro l’istinto

Voglio la stessa droga che faceva fischiare e cantare i sette nani andando al lavoro

La Festa dei Lavoratori è un inganno ideologico, dovremmo rivendicare il diritto all’ozio.

La Treccani così definisce ozio: «in genere, astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente». Definizione tutta moderna, pregna di utilitarismo materialista.

Ma non è stato sempre così… «I Greci nell’epoca del loro splendore non avevano che disprezzo per il lavoro, solo agli schiavi era permesso di lavorare: l’uomo libero conosceva esclusivamente gli esercizi ginnici e i giochi dello spirito. Era questa l’epoca in cui si viveva e si respirava in mezzo a un popolo di Aristoteli, di Fidia, di Aristofani […]. I filosofi dell’antichità insegnavano il disprezzo per il lavoro, degradazione dell’uomo libero; i poeti cantavano l’ozio, dono degli dèi» (Virgilio, Bucoliche).

Cenni storici

Greci e Romani

Presso gli antichi greci vi era dunque un’accezione positiva dell’ozio, inteso come il tempo che aristocratici e filosofi dedicavano alle attività più alte dello spirito. Nella «polis fondata secondo natura» – la Repubblica di Platone – il corpo sociale è diviso in tre gruppi funzionali, dei quali solo il più basso è destinato al lavoro: la «piccolissima stirpe» degli archontes, detentori della sophia, cui spetta il governo della città; coloro che detengono la «funzione guerriera» perché la loro qualità è il coraggio; i lavoratori, la cui «temperanza» determina l’accettazione della propria condizione di governati come legittima e funzionale all’interesse collettivo. È bene ricordare che le tre parti della città, in Platone, non assumono il carattere di caste chiuse e rigidamente predeterminate, per due motivi fondamentali: l’inclinazione naturale va confermata dall’educazione; è prevista quella che oggi si chiamerebbe mobilità sociale. Ma in ogni caso, per Platone, vi sono persone naturalmente più inclini al lavoro rispetto ad altre; e coloro che non sono portati per il lavoro sono considerati migliori.

Nell’antica Roma il termine “otium” era contrapposto a “negotia”, ad indicare un tempo libero dagli affari economici o politici, in cui ci si poteva dedicare allo studio (otium litteratum). Questa era la concezione di Cicerone ad esempio, il quale considerava l’ozio come una caratteristica dell’uomo libero; Nell’antichità i valori erano dunque completamente rovesciati rispetto ad oggi: gli schiavi erano dediti esclusivamente all’attività produttiva materiale, vista come un’attività inferiore; mentre i migliori (gli aristoi) oziavano beatamente, dedicandosi allo studio fine a sé stesso e alla crescita personale.


Per il Seneca del De Otium, quando «lo stato è corrotto oltre ogni rimedio, se è nelle mani dei malvagi, il saggio si risparmierà sforzi inutili e non si sacrificherà nella previsione di non conseguire alcun risultato». Il rifugio ozioso del saggio non è però passività, dato che egli è impegnato ad indagare i segreti della natura e del Dio che la regge: «del resto la natura volle facessi l’una e l’altra cosa, e agire e dedicarmi alla contemplazione: l’una cosa e l’altra faccio, dal momento che neppure la contemplazione è senza azione».


L’arrivo del cristianesimo

È con la teologia morale cristiana che l’ozio inizia ad acquisire un valore negativo associato all’accidia, uno dei sette vizi capitali. Del resto, per il cristianesimo conta la fede più che la ricerca filosofica: quindi “ora et labora”. Poi, con la riforma protestante, si afferma l’idea della sacralità del lavoro che, quando genera buoni frutti, fornisce al credente la prova della benevolenza divina.
L’ultimo esempio culturalmente rilevante di otium classico si ebbe nel ‘600 napoletano, con l’Accademia degli Oziosi che riuniva alcuni dei maggiori intellettuali del tempo, tra i quali un Della Porta, un Basile, un Campanella. L’Accademia partenopea aveva come motto: non pigra quies, ovvero “una tranquillità non pigra”.
Sigfrido Hobel, nel suo “Arpocrate. Il Dio del Silenzio”, ipotizza che i molteplici interessi scientifici, filosofici ed eruditi dell’Accademia degli Oziosi fossero animati da «sotterranee correnti di pensiero esoterico».

Nel mondo moderno

Ma ormai nel mondo moderno non v’è più tempo per il sacro ozio dei Classici: si assiste alla materializzazione di ogni fine perseguito dall’uomo, ogni valore ed interesse si esplica ormai sul piano economico e produttivo.
Positivismo, utilitarismo e materialismo fanno del progresso materiale il valore fondamentale della civiltà. Tradendo la lezione kantiana della “Fondazione della metafisica dei costumi”, per la quale «l’umanità è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato […] come un semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine», nel mondo moderno l’uomo diviene sempre più un mero strumento di produzione e di rendimento materiale, che dunque, nella retorica dominante, deve trovare la sua dignità nel lavoro e non in sé stesso. Julius Evola, il filosofo della “Rivolta Contro il Mondo moderno”, uno dei più controversi e radicali critici della modernità, è tra i pochi ad aver visto nelle due visioni del mondo che si sono contese l’egemonia politico-culturale sul ‘900 – capitalismo e comunismo – ‹‹due espressioni diverse per una cosa unica››: civiltà secolari della macchina e della quantità, della standardizzazione e del conformismo, mosse da interessi esclusivamente economico-materiali.

La crescita economica è l’unico fine perseguito. L’etica del lavoro, che sia nella forma dello stacanovismo sovietico o dell’arrivismo statunitense, è ormai l’unica etica sociale possibile. Viene in mente la Hannah Arendt del prologo a Vita Activa, per la quale: «l’età moderna ha comportato una glorificazione teoretica del lavoro, e di fatto è sfociata in una trasformazione dell’intera società in una società di lavoro». Anche il tempo libero dei lavoratori, lungi dall’essere assimilabile all’otium studiorum, viene ormai inglobato nella logica del capitalismo: diventa vacanza, cioè vuoto consumo di beni, servizi e luoghi, spesso al ritmo della catena di montaggio. Gli intellettuali (accademici) per lavoro sono ormai “operai del pensiero”, soggiacenti al criterio dell’utile e alla produttività imposta dagli indici bibliometrici quantitativi.

Il ritmo della produzione di beni di consumo, grazie all’impiego delle nuove tecnologie, diviene sempre più sostenuto.

La sociologa Judy Wajcman, nel libro Pressed for Time, sostiene la tesi del «time pressure paradox», che consiste nell’avvertire una incongruenza tra la quantità di tempo che l’uso delle tecnologie promette di liberare e il tormento del moderno di non averne mai abbastanza a disposizione.
Per la Wajcman «viviamo in una società in cui l’accelerazione tecnologica non produce più tempo libero ma, in realtà, un ritmo di vita sempre più veloce».

Pressed for Time di Judy Wajcman è un libro del 2016, che guarda dunque alla società contemporanea ma già nel 1883 il socialista francese Paul Lafargue denunciava il paradosso di macchinari sempre più precisi e veloci che non portano però alla riduzione delle ore di lavoro. Lafargue oppone al diritto al lavoro, il «Diritto all’Ozio» (titolo del suo pamphlet) e scrive: «una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni in cui regna la civiltà capitalista. È una follia che porta con sé miserie individuali e sociali che da due secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro. […] Nella società capitalista il lavoro è la causa di ogni degenerazione intellettuale, di ogni deformazione fisica. […] il lavoro sfrenato […] è il piú terribile flagello che abbia mai colpito l’umanità […] il lavoro diventerà un condimento di piacere dell’ozio, un benefico esercizio per l’organismo umano, una passione utile all’organismo sociale solo quando sarà regolamentato e limitato a un massimo di tre ore al giorno».

Anche Bertrand Russell, nel suo “Elogio dell’Ozio” del 1935 ha scritto: «Io penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa; […] Io voglio dire, in tutta serietà, che la fede nella virtù del lavoro provoca grandi mali nel mondo moderno, e che la strada per la felicità e la prosperità si trova invece in una diminuzione del lavoro. […] La tecnica moderna consente che il tempo libero, entro certi limiti, non sia una prerogativa di piccole classi privilegiate, ma possa essere equamente distribuito tra tutti i membri di una comunità. L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi. […] L’ozio è essenziale per la civiltà e nei tempi antichi l’ozio di pochi poteva essere garantito soltanto dalle fatiche di molti. Tali fatiche avevano però un valore non perché il lavoro sia un bene, ma al contrario perché l’ozio è un bene. La tecnica moderna ci consente di distribuire il tempo destinato all’ozio in modo equo, senza danno per la civiltà. La tecnica moderna infatti ha reso possibile di diminuire in misura enorme la quantità di fatica necessaria per assicurare a ciascuno i mezzi di sostentamento. […] La soluzione più razionale sarebbe questa: non appena sia possibile soddisfare i bisogni più elementari, bisognerebbe ridurre gradualmente le ore di lavoro, stabilendo via via con una votazione popolare se a un certo punto i cittadini desiderano più tempo libero o più beni di consumo.
Bisogna però dire che, mentre un po’ di tempo libero è piacevole, gli uomini non saprebbero come riempire le loro giornate se lavorassero soltanto quattro ore su ventiquattro. Questo problema, innegabile nel mondo moderno, rappresenta una condanna della nostra civiltà, giacché non si sarebbe mai presentato nelle epoche precedenti. Vi era anticamente una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell’efficienza. L’uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos’altro e non come fine a se stesso. […] I piaceri della popolazione urbana sono diventati soprattutto passivi: sedersi in un cinema, assistere a una partita di calcio, ascoltare la radio e così via. Questa è la conseguenza del fatto che tutte le energie attive si esauriscono nel lavoro. Se gli uomini lavorassero meno, ritroverebbero la capacità di godere i piaceri cui si partecipa attivamente».

Un’altra critica radicale all’etica del lavoro è quella che Giuseppe Rensi muove col suo “contro il lavoro” (1923): «Il lavoro è meritatamente odioso. Non è una cosa nobile, ma una necessità inferiore della vita delle specie e dell’esistenza dei più, ripugnante essenzialmente alla più alta natura dell’uomo; per cui si può affermare che la misura della nobiltà di tempra d’uno spirito umano è data dal modo con cui egli considera il lavoro: tanto più è nobile, quanto più lo aborre, tanto più è volgare e bassa quanto più si lascia, contro il proprio vero, diretto e immediato istinto, persuadere d’una morale convenzionale a idealizzarlo».

Così come per Rensi l’etica del lavoro va contro il «vero, diretto e immediato istinto» di ognuno, anche per Russell «il concetto del dovere, storicamente parlando, è stato un mezzo escogitato dagli uomini al potere per indurre altri uomini a vivere per l’interesse dei loro padroni anziché per il proprio».

Per gli autori della “rivoluzione conservatrice” – come lo Jünger de l’Operaio – invece «non ci si deve […] lasciar trarre in inganno dal generale livellamento che oggi colpisce uomini e cose. Tale livellamento altro non significa che il realizzarsi del gradino più basso, della base del mondo del lavoro». Negli uomini situati al gradino più basso della gerarchia sociale, per il tedesco, «libertà e obbedienza fanno tutt’uno».

Per i conservatori – com’era per Platone – alla classe che non saprebbe vivere che per il lavoro, è gerarchicamente sovraordinato un «tipo» umano più adatto alle attività di ordine superiore. Io non so se l’etica del lavoro sia più una questione culturale o un dato essenziale proprio solo ad alcuni uomini. Ma in ogni caso, se proprio non si riesce ad uscire dalla logica (tutta interna alla dialettica capitalistica) dei “diritti dei lavoratori”, si tenga conto della sottile – quasi controintuitiva – argomentazione di Rensi, per cui «quanto più […] il concetto di lavoro è moralmente nobilitato e il lavoro stesso considerato come una virtù, tanto minore importanza assume il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e tanto meno si tende a preoccuparsene; quanto più il lavoro in sé è poco stimato, tanto maggior peso le rivendicazioni economiche e sociali di quelli acquistano nella coscienza pubblica».

Oltre allo scardinamento dell’etica del lavoro e alla diminuzione delle ore di lavoro, sono altre due le importanti leve radicalmente anticapitalistiche utili a liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro.

Una è il reddito di base universale, definito da Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght «un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite».

L’altre è la «decrescita selettiva della produzione di merci che non sono beni», che per Maurizio Pallante e Alessandro Pertosa passa anche per la riscoperta del fatto che «gli esseri umani non sono soltanto produttori e consumatori di merci, ma hanno una dimensione spirituale che non può essere subordinata e sacrificata al lavoro. Non possono essere ridotti a mezzi di un sistema finalizzato alla crescita della produzione di merci, ma la produzione di merci deve tornare ad essere uno dei mezzi di cui essi si servono per ridurre la loro dipendenza dalla necessità, migliorare la qualità della loro vita, realizzare le proprie esigenze conoscitive, creative, relazionali». Oziosi di tutto il mondo unitevi. Rivendichiamo il nostro diritto all’ozio!

 

La terza alternativa è la più semplice da realizzare:
Eliminare la Pubblicità

Per gente abituata a credere alla pubblicita’, la propaganda subdola e’ irrilevabile e per questo efficacissima

Memoria e pubblicita

Diminuire la pubblicità

Vuoi aumentare lo stipendio? Basta cambiare canale durante la pubblicità

Il lavoro va contro l’istintoultima modifica: 2022-05-09T12:43:09+02:00da fab_kl
Post Categories: #CONSUMISMO NUOVA RELIGIONE, #crescita, #Direzionamenti, #Mezzi d'informazione