Cercare di lavorare meno è peccato?

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Siamo abituati a pensare che chi lavora tanto sia una persona di sani principi e da ammirare. Si dice infatti “è un gran lavoratore” per indicare una persona di qualità, con grandi pregi, un bravo padre di famiglia. Ma…

lavorare-per-vivereUna delle differenze tra destra e sinistra è che una è per i diritti e l’altra per i doveri. Dal mio punto di vista privilegiato mi chiedo cosa sia per me il lavoro: un diritto individuale o un dovere sociale?

L’unica cosa di cui sono certo è che il lavoro è encomiabile e, più è brutto più dovrebbe essere lodato. il lavoro è un mezzo per soddisfare i bisogni sopratutto i primari ma non solo. Una volta soddisfatti i bisogni, il lavoro può essere un’assicurazione per il futuro e per la vecchiaia. Soddisfatto questo scopo le motivazioni devono essere altre e di ampissimo raggio ben oltre il proprio individualismo ma quanti hanno la volontà e le capacità?

Il lavoro dovrebbe essere il diritto ad assicurarsi la vecchiaia e poi il dovere di farsi da parte. L’aspirazione della società dovrebbe essere quella di diminuire il periodo lavorativo. Ma questo non avviene ed è un’altro discorso. Il lavoro per una gran fetta della società non sarebbe necessario ma lo reclama fortemente. Perché? Per arrivismo o per bisogni sempre maggiori da soddisfare. L’esasperazione dell’importanza del lavoro, quindi, confluisce nel consumismo e forse addirittura lo origina. E questo potrebbe essere dannoso per la società sempre più avida di risorse ed energia e produttrice di immondizia impossibile da disintegrare ma solo trasformabile in altri inquinanti per di più a costo di altra energia. Dobbiamo stare attenti che i diritti non siano in realtà dei doveri camuffati e resi attraenti. Ma cosa insegnero a mio figlio: il lavoro è un diritto o un dovere? Sono un infrattore o un privilegiato?

Ognuno è libero di fare come gli pare ma lavorare troppo è positivo come ce lo raccontano? Chi lavora tanto, quando ha tempo per gli altri o altro, al di fuori del lavoro? Ha una vita al di fuori del lavoro oppure no?

Alla fine degli anni venti del novecento Keynes, uno dei più seguiti economisti dell’era moderna, sosteneva che grazie al sempre maggior ricorso alle macchine nella produzione, in futuro avremmo lavorato tre ore al giorno e per il resto ci saremmo goduti la vita. Più o meno la stessa cosa si dice adesso, pensando che le macchine e il progresso tecnologico ci faranno lavorare poco e niente. Ci sono vari motivi per affermare che ciò non si verificherà, nonostante tutti gli esperti dicano il contrario e nonostante le macchine applicate alla produzione aumentino la loro diffusione. In realtà questo non si è verificato grazie all’azione del consumismo che, man mano che diminuiva la necessità di lavorare, inseriva nuovi bisogni indotti che alzavano l’asticella e “invitavano” al doppio lavoro e sopratutto – concetto che ha contribuito come niente altro – al lavoro delle donne e delle mogli, spacciando a queste la favola dell’EMANCIPAZIONE che consiste nell’andare a lavorare ed avere INDIPENDENZA economica e poter quindi sperperare i propri soldi come la pubblicità ci propone senza dover rendere conto al marito.

Coloro che avevano presagito un futuro così roseo resterebbero oggi sbalorditi dinnanzi ad una simile involuzione che tristemente affligge la vita dell’uomo contemporaneo; oggi lavoriamo molto di più e siamo più stressati dei nostri genitori e dei nostri nonni. Camminiamo velocemente, comunichiamo in modo essenziale e dormiamo meno delle generazioni che ci hanno preceduto.
I giorni volano via velocemente e spesso non ne conserviamo nemmeno la memoria. Nonostante lo sviluppo della tecnologia, che avrebbe dovuto aiutarci a risparmiare tempo, il potersi dedicare alle nostre passioni è diventato un lusso per pochi privilegiati.

Sono molti gli esempi di chi è straricco e non riesce a godersi le proprie ricchezze. Uno molto di moda e che incarna il mito di un futuro super tecnologico, Elon Musk. Produce automobili elettriche e fra i vari progetti ha l’obiettivo di farci andare su Marte quando la terra sarà invivibile.

Seguendo la logica degli odierni futuristi del lavoro, dovrebbe lavorare forse cinque minuti al giorno. Invece il nostro eroe del futuro in un intervista al New York Times ha dichiarato che lavora 120 ore alla settimana! Alla faccia del progresso tecnologico. Significa che lavora 17 ore al giorno, sabato e domenica compresi, nemmeno ai tempi delle prime miniere di carbone si lavorava così tanto. E ammesso che abbia esagerato, anche fossero 14 o 15 ore al giorno, sono una follia. Ma non solo: ci dice che non prende una settimana di stacco dal lavoro dal 2001, ovviamente trascura famiglia e amici e in un’altra intervista in passato chiese all’intervistatore secondo lui quanto tempo avrebbe dovuto dedicare a una compagna eventuale.

Altro che godersi la vita! Musk dimostra l’errore – consapevole o meno – della teoria keynesiana.  Proseguendo in questo modo più che su Marte, sarà fortunato se arriva con le sue gambe in una clinica per farsi curare. E noi dovremmo prendere simili persone come modello, come esempio da seguire, fra quelli che ci condurranno verso una nuova era?

Così come dobbiamo credere a chi dice che il progresso tecnologico non ci farà lavorare praticamente più? E’ poi emblematico notare come Musk sia drammaticamente solo. Il che è un po’ il segno dei nostri tempi: tutti tecnologicamente con migliaia di amici virtuali, tutti connessi con il mondo intero ma poi ci sono solitudine e disperazione dilaganti.

Ma come è possibile pensare che le macchine ci sostituiranno e ci faranno lavorare meno se sta succedendo esattamente il contrario? Proprio a causa delle macchine e soprattutto alle tecnologie informatiche, lavoriamo molto più di prima anche – ma non solo – perché costantemente connessi e rintracciabili. Nella società poi dove ognuno sempre più deve diventare imprenditore di se stesso, ogni secondo perso è un secondo regalato alla concorrenza. Quindi non esistono domeniche, ferie, pause e difatti i casi di burn out cioè di esaurimento da stress lavorativo, si moltiplicano.

Considerando numeri “bassi”, immaginiamo che si lavori per 10 ore al giorno e, restando stretti, aggiungiamoci 3 ore per espletare alcune funzioni ineludibili quali mangiare, andare in bagno, lavarsi, farsi la barba, truccarsi, acconciarsi bene i capelli, vestirsi. Sapendo quanto è importante il look per le persone “importanti”, donne o uomini che siano, e visti gli abbigliamenti che vengono sfoggiati, la preparazione per il palcoscenico non può essere veloce e ha bisogno di attenzione e cura particolare.

In merito ai pasti, il lavoratore da Formula 1, fra colazione, pranzo e cena, probabilmente riuscirà a stare dentro a questi tempi, anche se, visto che in Italia mangiare è comunque importante, dubitiamo che si nutra di solo caffè, cibo liofilizzato e hamburger o pizza, il tutto da mangiare rigorosamente in piedi o correndo da una riunione all’altra, altrimenti non si sta nei tempi che abbiamo ipotizzato. Perciò, fra lavoro e funzioni ineludibili, fanno non meno di 15 ore e se si vuole dormire un minimo di sei o sette ore, vuol dire che non rimane praticamente tempo per stare con gli amici, il compagno o la compagna, i figli, i parenti o nella natura.

Quindi se questi aspetti non sono considerati o se lo sono solo spazi brevissimi all’interno della propria giornata, non si capisce per cosa si viva, se le cose più importanti non sono contemplate.

Infatti a cosa serve lavorare e guadagnare così tanto se poi non si vive?

Oggi il lavoro da semplice mezzo diventa un fine, il fine della vita di ognuno di noi, e viene presentato come il principale traguardo per la realizzazione personale. Un concetto che va ben oltre la dimensione professionale e include il benessere della parte più intima del sé, e grazie a questo è ben utile a giustificare ogni cosa: tutto diventa lecito nel nome della “creazione di nuovi posti di lavoro”. Probabilmente anche le teorie del Keynes non avrebbero avuto il successo che hanno avuto se il lavoro non avesse avuto la considerazione attuale. “Il lavoro è essenziale all’uomo per condurre una vita equilibrata, indispensabile all’individuo per sentirsi realizzato e per sviluppare al meglio le sue potenzialità”. In questo senso, il lavoro è stato progressivamente presentato come ciò che dà un senso alla vita. E così non si lavora più per vivere, ma si vive per lavorareempleos

Non molto tempo fa Cesare Romiti, ormai anziano ed ex megadirigente della Fiat  e di tante altre mega ditte, disse in una intervista che una cosa che gli dispiaceva è non aver visto crescere i figli e i nipoti proprio perché impegnato al lavoro dalla mattina presto fino alle undici o mezzanotte. Pronunciò delle parole agghiaccianti: ”Non mi ricordo nulla della nascita e crescita né dei figli, né dei nipoti, mi sono pentito di aver perso cose preziose”. E se queste esperienze non si vivono al momento, non è che poi si torna indietro nel tempo e le si rivive come un film registrato, le si sono perse per sempre. Nessun denaro, targhetta sulla porta, carriera, riconoscimento, grado sul petto, riporterà il prezioso che si è perso. E fino a quando non diventeremo interamente robot, vedere crescere i propri figli è una delle esperienze più belle che ci siano, incomparabile e impagabile con nessuna somma di denaro al mondo.

Guadagnare tanti soldi e lavorare come pazzi fa ritenere di essere migliori o superiori agli altri ma poi non si è migliori o superiori proprio a nessuno e alla fine si corre il concreto rischio un giorno in vecchiaia di chiedersi come s’è fatto a perdersi il meglio della vita, che non è certo rappresentato dai soldi e dal lavoro ma dalle relazioni con gli altri, gli amici, i propri cari e la natura.

E infine se si va a verificare il lavoro che fanno tanti stakanovisti e producono solo danni, sarebbe veramente meglio che lavorassero di meno o cambiassero lavoro.

E’ interessante poi notare che queste persone che lavorano tantissimo hanno quattro cellulari per mano, sono iper tecnologici e, secondo i parametri odierni, con tutta questa tecnologia dovrebbe lavorare un paio di ore al giorno. Invece i super tecnologici sembrano smentire totalmente questa teoria e succede esattamente il contrario, più sei tecnologico e più lavori. Paragoniamo quindi ciò che fanno questi malati di lavoro con ciò che fa un contadino che segua i ritmi della natura e non quelli della chimica. Il contadino ha periodi in cui lavora tanto e altri in cui lavora meno. Non lavora 12 ore al giorno per tutto l’anno, sette giorni su sette.  Ci saranno giorni in cui lavorerà anche 12 ore al giorno ma altri in cui ne lavorerà sei o quattro o per niente, a seconda appunto delle stagioni e di quello che richiede la natura. Inoltre in un’ottica di ecovicinato in cui alcuni lavori si possono fare assieme agli altri e si condividono braccia, materiali, capacità, conoscenze, il lavoro complessivo diminuisce ancora di più.

Lavorare meno, meglio, possibilmente in collaborazione con altri, senza danneggiare il prossimo e la natura, questo è il vero paradigma del lavoro da applicare.

Una possibilità per intravedere cosa si vuole veramente dalla vita e per ottenere gli strumenti per prendere decisioni che possono portarci verso un cambiamento positivo?La domanda e il tema da porsi non è se in futuro si lavorerà più o meno ma come e che tipo di lavoro si farà. Una terra in preda agli sconvolgenti cambiamenti climatici, all’esaurimento delle risorse, con inquinamento alle stelle, sarà una terra dove ogni parametro odierno, di chi non calcola questi aspetti, non avrà alcun senso. Chi parla di un futuro in cui si lavorerà poco o nulla, sta facendo i conti senza l’oste e sta ragionando come la gran parte degli economisti che non tengono presente le regole e limiti della terra in cui vivono e che non hanno nulla a che vedere con le loro sciocchezze sulla ricchezza monetaria, crescita infinita e produzione.


Vedi anche: Le nuove catene degli schiavi

Cercare di lavorare meno è peccato?ultima modifica: 2018-10-09T11:39:17+02:00da fab_kl
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